Montedidio |
Non conosco Erri de Luca, nel senso che non ho mai letto niente di suo. Me lo ricordo a malapena in una sua comparsata televisiva alla Invasioni molto poco barbariche di Daria Bignardi, mentre confermava il suo amore per le lingue classiche e antiche, compreso l'aramaico. Mi colpiva il suo percorso alternativo, lavoratore operaio e camionista per i convogli umanitari durante la guerra in ex-Jugoslavia, e quest'amore dichiarato per l'alpinismo, questa tensione verso un'ascesi che sempre nasonde un malessere di relazione con il prossimo sulla terra. Ma la visione di questo spettacolo al teatro de L'Atalante (a due passi dalla cappella del sacro cuore di Parigi) apre la giusta curiosità per un approfondimento in lettura dello scrittore e della sua opera. Perchè il napoletano d'origine, qual è Erri de Luca, fa rivivere perfettamente in un microcosmo dell'Italia post-guerra, la vita di un tredicenne nel profondo sud d'Italia, con le prime scoperte sul mondo degli adulti e delle donne accanto a lui. La memoria ricorda subito Sciuscià ed Europa 51, anche se con accenti di gran lunga meno tragici. Domina una leggerezza e un desiderio di fuga, di luoghi esotici e lontani, come sottolinea il rimando continuo alla Gerusalemme di Rafaniello, personaggio gobbo, ma dotato di ali, o come indica il boomerang del giovincello, oggetto pronto a iniziare a volare non appena appreso l'uso.
Da approfittare degli ultimi giorni di spettacolo, in scena fino al 16 marzo.