Saturday, September 17, 2011

"La piel que habito"...¿siempre la misma?

Scrivere di Pedro Almodovar e del suo ultimo film "La piel que habito" risulta difficile quando nella sua terra natale sono cosí fortemente divisi tra suoi cultori e suoi detrattori. Non appartenendo né agli uni né agli altri, ci limitiamo ad affermare che il film non lascia indifferenti (mi sembra che nessun  film di Almodovar possa scivolare senza lasciare "colpo ferire"), anche se manca quello che da un po' di tempo rimproveriamo al regista: la capacitá di innovarsi.
Da "Tutto su mia madre" in poi si ha quasi l'impressione di vedere la stessa opera con piccole variazioni sul tema. Cosa cambia veramente nei film del regista spagnolo quando spesso si riducono ad un disperato gioco di conflitti in cui vengono messi in discussione relazioni, generi sessuali, rapporti genitori-figli, il tutto generato da un fatto sconcertante di violazione, morte tragica, omicidio, pedofilia, stupro, che in questo scaso sconfina nel cambiamento di sesso per poi concludersi in un un happy end piú o meno condiviso?
La piel que habito

All'inizio sembra quasi che l'attenzione del regista si soffermi sull'accanimento del protagonista medico (Antonio Banderas, invecchiato, ma apprezabile nel ruolo) per la sperimentazione sulla transgenesi, la possibilitá di superare i limiti etici della medicina incrociando cellule umani e animali per rendere la pelle umana piú resistente. Sarebbe giá una novitá. Poi peró la voglia tutta almodovariana di indagare il torbido delle relazioni umane ha il sopravvento e la lente della macchina da presa si sposta sul passato del medico, sui suoi rapporti con madre, figlia e sposa, fino all'ultima presenza femminile,Vera, una bellissima Elena Anaya, qui alla sua prova piú rivelatrice. 
Il cerchio si chiude con la rivelazione finale e la dualitá del film sembra ricomporsi.
Sicuramente il film tiene sospesi, la tensione non cala per quasi due ore, ma non si capisce bene cosa aggiunge e cosa toglie a quanto Almodovar abbia giá espresso precedentemente. Insomma, cosa c'é di nuovo? Tolta la patina superficiale dell'intreccio, rimane nella bocca il sapore di un frutto giá assagiato, di un piatto giá gustato, di un film giá visto.
Con l'augurio che presto il maestro superi se stesso, esca dai limiti in cui si é imposto, a costo di rimettere in discussione il suo stile, la sua maniera di fare film e riesca a stupirci con qualcosa di fresco e nuovo.
Merita una menzione speciale la colonna sonora originale del film firmata Alberto Iglesias. A lui va il merito piú grande del film per aver saputo sottolineare i momenti di tensione con un ritmo incalzante.