Thursday, March 31, 2011

Mostra: Palazzo Farnese, dalle collezioni rinascimentali ad Ambasciata di Francia

Nel '500 era l'umile dimora della famiglia di Alessandro Farnese, poi  è diventato la sede dell'Ambasciata di Francia e fino al 27 Aprile del 2011 questo strepitoso palazzo nobiliare nel cuore del Rione Regola, accanto a campo de'Fiori, rimarrà accessibile al pubblico per una mostra che ha il sapore delle grandi collezioni rinascimentali.
Si parla naturalmente di Palazzo Farnese e delle meraviglie che dopo la dispersione fra i possedimenti campani, parmensi e francesi, sono stati ricollocati temporaneamente nelle nicchie e nelle gallerie che li avevano tenuti a battesimo: una operazione che strizza l'occhio alla mostra de La Celeste Galeria, realizzata nel 2003 a Mantova.
Prezzo d'ingresso 12 euro, modalità di prenotazione macchinosa che comunque non evita del tutto la fila all'esterno ( attenzione l'entrata da via Giulia è sul retro!) , bookshop stretto e affollato, obbligo di lasciare i propri zaini all'ingresso a causa del pericolo attentati... tutti dettagli che disturbano la piacevolezza della visita ma non fanno rimpiangere la scelta di passare qui un meritato pomeriggio, per immergersi nelle linee equilibrate ed eleganti dell'architettura che porta la firma di Antonio da Sangallo, Michelangelo Buonarroti e del Vignola.
Ma i veri gioielli sono la quadreria, che contiene anche il ritratto che fece Tiziano Vecellio del padrone di casa, Alessandro, che salì poi al soglio papale col nome di Paolo III, le sculture, tra cui la Venere Callipigia, ossia dalle belle natiche, e la sconvolgente galleria affrescata dai Carracci, dai colori squillanti e succosi.
Una puntina di invidia nei confronti dell'ambasciatore transalpino, che firma i documenti in una sala trapuntata di broccati, marmi e raffinatezze indicibili, e una puntina di insoddisfazione per l'assenza dell'Ercole Farnese, che non si è schiodato da Capodimonte, nonostante gli enormi cartelloni lo pubblicizzino come la punta di diamante della collezione del Cardinal Farnese e dei suoi nipoti Ranuccio e Odoardo, crescono durante la visita e accompagnano fino all'uscita. Ma è il ricordo di una esperienza di ozio culturale affascinante e squisita quella che prevale e che rilancia il desiderio di conoscere altre meraviglie romane del Rinascimento, come Palazzo Spada, Villa Borghese o Villa Madama, appena fuori Roma.
Il Catalogo Giunti, in versione light da 66 pagine al prezzo abbordabile di 13 €, vi fa portare a casa un po' di storia e della vostra indimenticabile passeggiata.

Friday, March 11, 2011

Jean Siméon Chardin al Museo del Prado

Il garzone dell'osteria
La mostra visitabile al Museo del Prado sul pittore del pieno Settecento francese Jean Siméon Chardin (1699-1779) costituisce un'opportunità irripetibile per conoscere quest'artista, dato che si tratta della prima retrospettiva a lui dedicata in Spagna e che la mostra raccoglie per la prima volta quasi un terzo delle sue opere. 
In un secolo come il Settencento, così profondamente dominato dal gusto per l'effimero e lo sfarzo, Chardin  e la sua pittura rappresentano un "unicum", di cui si erano resi conto anche i suoi contemporanei. Egli trascorre tutta la sua vita a Parigi senza mai aver compiuto quel viaggio iniziatico, il gran tour, alla scoperta delle bellezze italiane, come molti suoi colleghi prima e dopo di lui ambivano fare, e, quindi, senza aver mai visto le celebri opere del passato presenti a Roma, da cui tutti i pittori dell'epoca traevano ispirazione. Per questo, la sua pittura risente più di influenze nordiche, fiamminghe in particolare, come dimostra la sua attenzione al dettaglio, alle pose semplici e dimesse, alla predilizione per scene di vita quotidiana ambientate nel retrobottega di un'osteria o nelle case borghesi parigine. 
Quadri di nature morte caratterizzano l'inizio e la fine del suo percorso artistico (da notare Lepre morta con sacca per polvere da sparo e carniere), rendendo agevole ricostrurire l'evoluzione del fare pittorico di Chardin nel corso dei decenni. Da un realismo ricercato dei primi anni si approda a toni più astratti e meno precisi negli anni '50-'60 del Settecento, come suggerisce Pierre Rosenberg, commissario della mostra, nell'intervista rilasciata al museo del Prado.
Il bambino con la trottola o Ritratto di Auguste-Gabriel Godefroy
Chardin ha modo di cimentarsi anche con ritratti di figure umane soprattutto nel centro della sua carriera. I soggetti da lui scelti cono spesso fanciulli, magari sorpresi mentre giocano a fare le bolle (Le bolle di sapone detto anche Ragazzo che fa le bolle di sapone) o in un momento di riposo durante ore di gioco, di cui Chardin risalta con colori accesi piccoli oggetti, come il nastro azzuro pendente sul bianco grembiule de La bambina col volano o la matita da disegno che fuorisce dal banco ne Il bambino con la trottola o Ritratto di Auguste-Gabriel Godefroy.

"Benedicite"
Ritratti di pose spesso tutt'altro che frontali, per questo più vive e vere, perchè non hanno nulla di voluto o di statico, come ne Un giovane scolaro che disegnadi cui non conosciamo il volto perchè ritratto di spalle. Sorprende la discrezione con cui il pittore ritrae l'interno di una cucina, con i suoi utensili perfettamente disposti sulle mensole, mentre fotografa gli sguardi intensi di una madre e delle sue figlie nell'atto di dire il Benedicite, prima di iniziare a mangiare. Stessa attenzione ai sentimenti umani e al dettaglio da interni si ritrova nello broncio del bambino di fronte alla sua governante che lo sgrida per il modo disattento con cui ha lasciato la sua stanza ne La Governante.
Non è un caso se il migliore riconoscimento attribuito all'artista sia stata la definizione di "pittore del silenzio", per questo suo modo così pacato di soffermare lo sguardo su gesti quotidiani, di osservare discretamente sentimenti d'animo interiori, restituendo la grazia di personaggi  e cose apparteneti ad un mondo umile, dove l'arancia amara che riposa grinzosa, quasi brutta, riesce a divenire più amabile agli occhi perchè facente parte di un mondo a cui noi stessi apparteniamo. 
Una pittura così lontana dal mondo contemporaneo, eppure già pre-moderna.
La mostra, dopo aver incatato l'Italia, a Ferrara, presso Palazzo dei Diamanti, sorprenderà anche la Spagna. 

Jean Siméon Chardin (1699-1779) 
Museo del Prado
C/ Ruiz de Alcoròn, 23
28014 Madrid
Fino al 29 maggio

Monday, March 7, 2011

Un tranvía llamado deseo al Teatro Español: convincente, ma non esaltante

Blanche Dubois, ovvero il profondo desiderio di attaccamento alla vita per sfuggire alla morte. Stanley Kowalski, ovvero la forza bruta di un uomo dagli istinti basilari. Stella Dubois, ovvero in bilico tra una nuova vita e l'ombra di un passato che ritorna. Mitch, ovvero il sogno fallito di un matrimonio e di una famiglia. 
La messa in scena del celeberrimo "A streetcare named desire" di Tennessee Williams nella versione del regista Mario Gas per il Teatro Español risulta convincente, ma non esaltante. Sarà dipeso dall' eccessiva dilatazione dell'opera nell'arco temporale di più di due ore o dal fatto che nessuno degli attori ha particolarmente brillato nell'interpretazione delle rispettive parti, ma questa versione manca un po' di  slancio, di momenti di originalità. In particolare, Vichy Peña risulta credibile nella parte che fu di Vivien Leigh nel film di Elia Kazan, anche se la preferiamo nei momenti in cui evita di essere leziosa, per toccare il suo registro più drammatico e commovente. Un'unica nota ci ha straordinariamente colpito: Ariadna Gil rende il personaggio di Stella con una grazia e, quasi un'innocenza ritrovata, degna di un personaggio intimamente convinto della bontà della sorella, ma incapace di sottrarsi al volere del marito, come la parte richiede.

"Un tranvía llamado deseo" al Teatro Español
Un tranvía llamado deseo
Teatro Español    
C/ Príncipe 25, Madrid
Del 4 de febrero al 10 de abril

Tuesday, March 1, 2011

L'occhio discreto di Adam Fuss in mostra alla Fundación Mapfre

Dalle serie "My gost", 2000, Dagherrotipo.
Poche gocce sorprese in uno scatto prima che si asciughino. Raggi concentrici che si ripetono nella loro evoluzione in seguito alla caduta di una prima goccia. Il bianco di un cigno dalle ali rotte o di un pavone che troneggia in tutta la sua possenza. Sorprende l'occhio discreto di Adam Fuss in questa sua capacità di variare  i soggeti al centro del suo obiettivo fotografico, mantenendo una certa costanza nell'elaborare immagini prive di orpelli decorativi, che vanno dritte all'essenziale, quasi alla ricerca di un recondito mistero celato dietro un corpo(umano, animale o vegetale), una scia, una traccia, una testimonianza palpabile di qualcosa che non c'è più. In questo senso vanno le fotografie estrapolate dalla serie My Ghost (Mi fantasma), dove il fotografo riesce a fissare il senso della perdita e del legame che ci vincola a chi non c'è più attraverso colonne di fumo in bianco e nero o vestiti da bambino ripresi con l'antica tecnica del dagherrotipo. Altro elemento che ci sorprende nel percorso artistico di questo fotografo: la costante ricerca in relazione alla tecnica della fotografia, che lo induce più a sperimentare con antichi strumenti del passato che con moderne tecniche digitali.
La mostra costituisce la prima restrospettiva dedicata al fotografo inglese in Spagna ed espone una cinquantina di immagini con cui si ripercorre il percorso dell'artista dal 1986 fino ad oggi.

Adam Fuss - Fundación Mapfre, dal 27 gennaio al 17 aprile 2011

SALA RECOLETOS Entrata gratuita

DIRECCIÓN Paseo de Recoletos 23 - Madrid - 28004 Teléfono: 91 581 61 00

HORARIOS

Lunes de 14.00 a 20.00 hrs.
De martes a sábado de 10.00 a 20.00 hrs.
Domingos y festivos de 11.00 a 19.00 hrs.