Wednesday, March 13, 2013

"Montedidio", di Erri de Luca, teatro de L'Atalante

Montedidio
Non conosco Erri de Luca, nel senso che non ho mai letto niente di suo. Me lo ricordo a malapena in una sua comparsata televisiva alla Invasioni molto poco barbariche di Daria Bignardi, mentre confermava il suo amore per le lingue classiche e antiche, compreso l'aramaico. Mi colpiva il suo percorso alternativo, lavoratore operaio e camionista per i convogli umanitari durante la guerra in ex-Jugoslavia, e quest'amore dichiarato per l'alpinismo, questa tensione verso un'ascesi che sempre nasonde un malessere di relazione con il prossimo sulla terra. Ma la visione di questo spettacolo al teatro de L'Atalante (a due passi dalla cappella del sacro cuore di Parigi) apre la giusta curiosità per un approfondimento in lettura dello scrittore e della sua opera. Perchè il napoletano d'origine, qual è Erri de Luca, fa rivivere perfettamente in un microcosmo dell'Italia post-guerra, la vita di un tredicenne nel profondo sud d'Italia, con le prime scoperte sul mondo degli adulti e delle donne accanto a lui. La memoria ricorda subito Sciuscià ed Europa 51, anche se con accenti di gran lunga meno tragici. Domina una leggerezza e un desiderio di fuga, di luoghi esotici e lontani, come sottolinea il rimando continuo alla Gerusalemme di Rafaniello, personaggio gobbo, ma dotato di ali, o come indica il boomerang del giovincello, oggetto pronto a iniziare a volare non appena appreso l'uso.
Da approfittare degli ultimi giorni di spettacolo, in scena fino al 16 marzo.        

Friday, March 8, 2013

Le Bal: "Anticorps" d' Antoine d'Agata

Sono ampiamente convinto che la Parigi del secolo in corso non sarà più rappresentata dalle immense gallerie che stancano i visitatori alla più non posso, o dai musei che ti mettono ansia perchè non riuscirai mai a vedere tutta la storia dell'arte proposta con una sola visita. Si impone un nuovo modello culturale, che unisce la decentralizzazione della cultura verso zone periferiche, con la volontà di mecenati privati, anche non necessariamente ricchissimi, spesso associazioni, che vogliono recuperare zone destinate all'abbandono, renderle agibili e farne un luogo destinato alla cultura alternativa, non ufficiale, giovane, da restituire alla città, ai suoi quartieri più poveri, a chi normalmente è esculso dai circuiti culturali.
Se passate qualche stazione oltre Pigalle con il suo Molin Rouge, dirigetevi verso Clichy dove un cartello marrone vi indicherà la direzione per "le Bal", sala degli antichi fasti ballerini e goderecci di una Parigi che non c'è più, ristrutturata e adibita a luogo di fruizione culturale, con annassa caffetteria e veranda.
Vue de l'exposition ANTICORPS © Pascal Martinez
Con un attenzione dedicata alla mappatura del reale attraverso mostre di arti plastiche e visive, le Bal propone " Anticorps " d' Antoine Agata, fino al 14 aprile 2013. La brochure informativa ci racconta che la mostra è un'immersione nel lavoro ventennale di quest'artista, di cui non dispensa nessuna nota biografica. Effitivemente di immersione si tratta, data la discesa al piano sotteraneo dove una sala intera è stata tappezzata con le foto dell'artista, già preventivamente avvisandoci che potrebbero urtare la sensibilità dei più. Corpi in posizioni contorte, nudismo esibito, volti contorti, presenze che non ti guardano e in solitario voglono le spalle alo spettatore, resti umani sottrati al fuoco durante una repressione che sia in Libia, Auschwitz, Cambogia: questi gli scatti proposti in una commistione impattante. Agata entra a lama fendente nel vissuto umano e storico con uno sguardo che ama frugare nel torbido, nella mancanza di nitidezza, nello scomposto. Si muove tra gli eccessi che la vita politica e l'intimità gli propongono, insistendo sulla vita ai margini.

Le BAL
6, Impasse de la Défense
75018 – Paris
métro Place de Clichy, lignes 2 et 13
bus 54, 74, 81, arrêt Ganneron
 01 44 70 75 50
contact@le-bal.fr

       

Thursday, March 7, 2013

Terrence Malick: "To the wonder"

Terrence Malick non gira dei film, ma dei capolavori di poesia.
Il suo ultimo sforzo come regista " A la merveille " (To the wonder) segue nel solco già tracciato da " The tree of life ", palma d'oro due anni fa a Cannes. Riduce il tema al centro dell'opera all'essenziale, in questo caso la storia della relazione tra due protagonisti, costretti a dividersi e riunirsi tra Parigi e uno sperduto paesino degli Stati Uniti. Lateralmente, la figura di un prete (Javier Bardem), alle prese con una specie di crisi di coscienza nell'atto di seguire la sua missione pastorale nello stesso paesino sperduto. Il motivo del film è tutto qui, con un occhio sempre vigile su un certo ambiente in preda ai veleni delle multinazionali con le inevitabili ricadute suoi suoi abitanti.
L'uso delle immagini esaltate all'ennesima potenza, dialoghi ridotti, personaggi come comparse (Ben Affleck dice al massimo 10 parole) rende il film talmente riconoscibile agli occhi dello spettatore, già abituato alle estenuanti maratone di Malick, che ci si sente a casa, confortati in un mondo di un estetismo estremo. Se non fosse che la presenza del male è li, incede negli interstizi della vita qauotidiana, la si ritova al lavoro e nella vita coniugale, nella mancanza di comprensione tra due esseri incapaci di amarsi o nella condizione di chi vive ai margini della società e cerca disperatamente risposte in un Dio inaccessibile.
Un film non per tutti, insomma,o per lo meno difficile da digerire, per chi è abituato all'azione dei blockbuster americani.