Thursday, November 17, 2011

"We are alone...Life is only on earth...and not for long!" by Lars Von Trier in "Melancholia"

"Melancholia"
Attesissimo sin dalla sua presentazione all'ultimo festival di Cannes, il film di Lars Von Trier "Melancholia" esce ora nelle sale spagnole e già suscita reazioni contrastanti. Al termine della proiezione nella sala, chi ha tentato un timido applauso è stato sonoramente travolta da una marea di risate.
Il film ci ha affascinato per la potenza delle immagini con cui rende lo stato di profonda angoscia in cui si ritrovano le due protagoniste: Kirsten Dunst, nel ruolo di Justine, vittima di una depressione che le impedisce di vivere adeguatamente perfino il suo matrimonio; Claire, sua sorella, interpretata da Charlotte Gainsbourg, incapace di controllare la sua paura di fronte all'imminente catastrofe che si profila contro il pianeta terra: un altro pianeta di nome "Melancholia" sta per avventarsi contro il nostro, minacciandone l'estinzione. 
Le due sorelle sono diverse, eppure complementari. Justine è incapace di affrontare la vita quotidiana, le pretese di felicità che gli altri le impongono (come non essere felice il giorno del proprio matrimonio?), ma si rivela forte e quasi stoica di fronte alla crisi, alla minaccia della morte imminente per via dell'impatto della terra con "Melancholia". Sa che nel mondo ciascuno è solo, la vita sulla terra è l'unica forma di esistenza e non durerà a lungo: questo consapevolezza la sotiene e la conforta, nell'ora dell'avvicinarsi alla morte. Claire, invece, una donna tutta d'un pezzo, con una vita stabile, moglie e madre, sorella amorevole fino all'inverosimile, tradisce le sue fragilità quando il film si concentra su di lei e le sue paure: non tollera l'idea della morte imminente, della morte dei suoi cari, della fine della vita, sua e della sua famiglia.
Il film coinvolge, la caratterizzazione di due personaggi è profonda e non lascia tregua nel generare conflitto tra due personalità che difficilmente si conciliano. Poi l'evento naturale prende il sopravvento e il film guadagna un finale fino all'ultimo in dubbio.
Lars von Trier è riuscito a condensare tuttò ciò in immagini di suprema bellezza: Justine, avvinghiata da arbusti e racemi che ne rallentano il cammino mentre tenta di disfarsene, risulta un simbolo iconico della sua lotta contro ciò che la spinge indietro, verso un buio profondo e interiore. Sempre lei vestita da sposa si lascia trascinare via dalla corrente di un fiume a mo' di simbolo del suo abbandono alla vita (citazione evidente della   "Morte di Ofelia" del pittore preraffaellita John Everett Millais).
Il regista sembra continuare qui il suo percorso di indagine sulle ragioni più intime e profonde dell'esistenza umana, della presenza del male nel mondo e della condizione dell'uomo sulla terra. Un percorso, iniziato già con "Antichrist", che ci aveva lasciato con qualche dubbio, ma che ora assurge a maturazione e sviluppo. Meritatissima la palma d'oro alla migliore attrice per Kirsten Dunst, come lodevole è l'interpretazione della Gainsbourg, sempre più apprezzabile nel suo lavoro di attrice.