Friday, December 21, 2012

Anna Karenina by Joe Wright

Chi non ha mai pensato almeno una volta nella vita di vivere un amore struggente e passionale, a costo di mettere a repentaglio tutte le certezze di un un'esistenza soffocante, fino a sigillare l'esperienza con il sacrificio estremo?
ANNA KARENINA by Joe Wright
Se siete fra questi, l'ultima versione di Anna Karenina di Joe Wright é il film che fa per voi. Il regista ha saputo rinnovare sul grande schermo l'opera di Tolstoj con trovate al limite del geniale. Ben sapendo che l'opera nasce dall'incontro di due storie, quella di Anna e di Levin che si incrociano senza che i due protagonisti vengano mai a contatto, egli ha ambientato una parte del fim in un teatro di posa e l'altra parte in esterna. L'alternanza dei due scenari rende il film agile e rinnovato, a tal punto che non si annoia lo spettatore che conosce perfettamente la storia o le precedenti versioni cinematografiche. I decori, i balli, il mondo imperiale di una Russia divisa tra latifondismo e antichi privilegi partecipano al fascino del film.
Il cast è d'eccezzione, ma non tutti sono all'altezza del ruolo. Keira Knightley, che non ci sembrava all'inizio la scelta migliore, passa la prova, più nella seconda che nella prima parte del film. Jude Law, nel ruolo di Alexei Karenin, ci è sembrato poco convincente, mentre da bocciare Aaron Taylor Johnson, nel ruolo del conte Vronskj: avvenente e basta.     

Wednesday, December 5, 2012

Una perla rara: Eléphant Paname ospita E. Erwitt

Se siete di passaggio velocissimo su Parigi, non indugiate nelle file chilometriche che si dipanano fuori dai classici musei alla ricerca del biglietto per la mostra temporanea sul pittore di urlo visto e rivisto (vedi l'attuale Dalì al Centre Pompidou) o sul frequentatissimo Louvre sempre più ridotto nella versione artistica di un McDonald mordi e fuggi. Il vostro tempo di appassionati curiosi merita di più.
Recatevi allora all'Opera di Parigi non per ammirare il profilo da pan di Spagna del palazzo Garnier, bensì per dirigervi in una viuzza poco distante dalla fermata della metro omonima, rue de Volney. Il numero 10 di questa viuzza, anonima e desolata, ospita una perla rara, sconosciuta ai più. Si tratta del nuovo centro culturale Eléphant Paname, che all'interno di un hotel particulier costruito sotto Napoleone terzo, ospita sale di danza, uno spazio a piano terra per mostre temporanee che si dipanano ai piani superiori, dove si installerà prossimamente un ristorante nuovo di zecca diretto dal migliore sommelier di Francia. Questo spazio ospita la mostra "Eliott Erwitt: Personal best/Personal choice", una retrospettiva di ottanta scatti fotografici che ripercorrono la carriera di questo grandissimo fotografo statunitense ancora vivente.
Cosa rende questa perla così rara? Il fatto che le foto esposte sono state personalmente scelte dall'autore, con tanto di dedica impressa in una colonna del secondo piano lasciata il giorno dell'apertura della mostra. Si tratta di foto ormai appartenenti alla memoria collettiva, viste anche solo di passaggio nelle riviste più alla moda, come il bacio in bianco e nero dalle parti del Palais de Chaillot o il sorriso della donna ripreso nello specchietto retrovisore. Ma tanti anche gli scatti che mostrano un fotografo testimone di grandi celebrità, impressionante lo scatto su JFKennedy in smoking, come delle tragedie umane, ad esempio l'orrore dell'Italia post II guerra mondiale impresso negli sguardi dei bambini sopravvissuti.
Troppo pochi ottanta scatti. Usciamo dalla mostra chiedendone ancora, ancora, ancora... 
Springer, Paris, 1989, by Elliot Erwitt

Eléphant Paname
10 rue Volney
75002 PARIS
Eliott Erwitt: Best choice/Personal choice
fino al 13 gennaio 2013

Sunday, October 28, 2012

"Amour" by Haneke

"Amour" by Michael Haneke
L'acqua rimane aperta perché lui ha dimenticato di chiuderla. E lo ha fatto nell'incombenza di dare soccorso a sua moglie incapace di rispondere ai suoi richiami. Poi lei ritorna in sé e chiude il rubinetto dell'acqua, rimproverando il marito per la dimenticanza. Con questa scena madre, lo spettatore assiste all'inizio della fine, con un gioco tra fuori campo e immagine che rende meglio delle mie parole il senso tragico di un futuro imminente. Il resto di questo "Amour", vincitore a Cannes della Palma d'oro, è una lenta, lentissima discesa agli Inferi da parte dei due protagonisti, Anne e George, costretti ad affrontare la malattia degenerativa di lei fino alla fine.
Tutte le possibili domande relative al dolore e all'assistenza verso la morte da parte delle persone a noi care sono poste dal film, che non mi sembra voglia dare suggerimento alcuno. Haneke si limita a mostrare con una freddezza chirurgica il lento evolversi degli avvenimenti, senza patetismi, nella loro reale drammaticità. Resta però il conforto del loro amore, l'unico vero bene che rimane ancora presente e vivo dopo una vita trascorsa insieme.  
La casa dove i due hanno vissuto per anni diventa per due ore lo scenario forzato del film. La musica (Anne è un'insegnate di piano) ne è il giusto supporto, ma senza essere solo un orpello decorativo. Jean-Louis Trintignat e Emmanuelle Riva sono assolutamente superbi nell'interpretazione dei due personaggi, come del resto lo è Isabelle Huppert nella parte della figlia dei due.
Il film dell'anno, da guardare con una dose di coraggio, anche per gli stomaci più delicati. 


Monday, October 15, 2012

"Reality" by Matteo Garrone

Delusione è il sentimento che ci ha sorpresi all'uscita dalla sala di proiezione del film. Delusione sì, perché questa volta il regista sembra aver perso quella forza e quella lucidità che lo avevano caratterizzato nel suo "Gomorra", che, come questo, era stato premiato a Cannes con il Gran Prix du Jury. Il desiderio di un padre di famiglia nella Napoli profonda contemporanea di essere protagonista del Grande Fratello, al punto da scollarsi completamente dalla realtà in cui vive per calarsi in quella mediatica, non basta da solo a reggere le redini della sceneggiatura (il film dura quasi due ore). Si capisce che Garrone voleva andare a parare lì, sul tema del sogno che mai si trasforma in realtà e per il quale si sacrifica molto di questa in onore di quello. Ma si tratta di un tema che già Aronofsky ha abbondantemente trasposto sullo schermo cinematografico, compresa la sua ultima prova che è valsa a Natalie Portman il primo Oscar: "The black swan". Una favola finita male che abbiamo già visto insomma. Rimane il paesaggio, l'ambientazione rustica e un po' kitsch della Napoli odierna, tra i palazzi scalcinati i cui abitanti si nutrono di traffici più o meno loschi per sopravvivere e i sogni di gloria e ricchezza mai realizzati. In questo riconosciamo un po' di noi, del carattere italiano così caparbiamente impunito e godereccio. Un po' poco, forse, per chi come Garrone ha dato prova di poter raggiungere ben altre vette. Ci aspettavamo e ci aspettiamo di più.

Tuesday, October 2, 2012

Gerhard Richter, ovvero per una pittura elevata al cubo

Gerhard Richter: Betty, 1988
Mi precipito all'ultimo giorno disponibile per vedere la fantastica retrospettiva, "Panorama", che il Centre Pompidou di Parigi ha dedicato ad un riconosciuto maestro di quella corrente definita "iperrealismo": Gerhard Richter. Anche se il maestro tedesco dichiara di " non appartenere ad alcun sistema, tendenza, programma; né di avere programmi, stile o pretese", il termine di "iperrealismo" sembra calzare a pennello alle sue opere, almeno a quella fase in cui è proprio evidente non il desiderio di emulare la realtà, ma di superarla, rendendo il quadro più vero del vero, più reale del reale. Sfido chiunque a confrontare la foto da cui egli parte per compiere il ritratto di nuca di sua figlia Betty con il quadro ultimato e a non dubitare almeno per un attimo che questo costituisca una gigantografia dell'originale. Invece no: siamo sempre di fronte ad una copia, il ritratto, che in questo caso non ha come modello la realtà, bensì un'altra copia della realtà, la fotografia. Si tratta quindi di un'operazione di pittura elevata al cubo (prendo in prestito il termine da Calvino che lo aveva utilizzato in riferimento alla letteratura), cioè di pittura che rappresenta non più la realtà ma una copia di essa. Mi viene da chiedere se il movimento sia circolare, se cioè il passaggio realtà-fotografia-ritratto, sia un movimento per ritornare al punto da cui si era partiti, oppure no, se sia un movimento teso a dimenticare quello da cui eravamo partiti, la realtà. Opterei per la seconda opzione: il quadro cioè vuole superare la realtà, proprio perché vuole sostituirsi ad essa, con tutto il rischio che questo comporta. Il rischio cioè di scambiare il quadro per la realtà, dimenticando quest'ultima. Un po' come la realtà virtuale, the world wide web, non è la realtà reale.
In questo senso, credo che Richter sia un artista più che mai contemporaneo; mentre le sue prove di tipo astratto, sanno di maniera, di desiderio di confrontarsi con stili totalmente opposti al suo per misurane la riuscita, o più semplicemente per "fare cassa".
  

Monday, October 1, 2012

"La bella addormentata" di Marco Bellocchio

Il film di Bellocchio, in concorso all'ultima edizione della mostra del cinema di Venezia, non è un film che confermerà le vostre certezze sull' eutanasia e sulla condizione terribile che essa comporta per le persone che si trovano nella scelta di decidere sulla vita o la morte di uno dei propri cari. Non è nemmeno un film che vi farà infuriare qualora voi abbiate una posizione chiara e precisa in merito. Proprio per questo suo carattere di equilibrio, di voluto e ricercato desiderio di mostrare le diverse condizione del dolore attorno a questo tema così struggente, senza necessariamente prendere posizione, indicando chi ha torto o ragione, il film merita un grande supporto e riconoscimento. Perché insinua il dubbio, proprio nel mostrare storie diverse con al centro questo denominatore comune, dove tutti sembrerebbero ben schierati pro o contro l'eutanasia, portatori di una propria verità. Non mi sono stupito della marea di delusi, né delle critiche dei più esperti di cinema che hanno additato questa cifra del film come un vizio, mentre ne costituisce la sua virtù, nonché il segno di un cambiamento nella direzione registica di Bellocchio, che sin dai suoi esordi aveva dimostrato di essere un regista con idee ben chiare e con una posizione ben schierata (I pugni in tasca, L'ora di religione). Qui siamo lontani da quell'epoca e da quella direzione registica, con un cambiamento che giova se evita il rischio di non ripetersi. Il cast, su cui dominano incontrastati Isabelle Huppert, che basta da sola, con il suo volto di madre afflitta, a creare intere scene di tormento personale, e il nostro versatilissimo Toni Servillo, senatore Pdl tormentato dai sensi di colpa, è d'eccezione. Attore rivelazione: Michele Riondino, che aspettiamo adesso di vedere in Acciaio di Stefano Mordini. 


Monday, June 18, 2012

Tim Burton exhibition in Paris

Tim Burton exhibition

The exhibition dedicated by the Cinémathèque française to the director Tim Burton deserves a visit to know the different faces hidden of this eclectic director. We first of all discover that Tim Burton is born as a designer and then he puts the images of his prolific mind to the service of cinema. On the other hand, the American director is not an "improvisé" of the art, on the contrary he is an ancient student of the Institute of Art of California, someone who has known well reinvent the codes of the sketch and the animation after having perfectly handled the tools of it. For this reason, the exhibition results really complete: it traces the history of this director from his childhood in the city of Burbank up to his last film Dark Shadows. There is a large retrospective dedicated to his sketches, to his characters in models, to his inventions, to his short films, following his first footsteps in the cinema industry to the service of Disney company. A small comment on the price: 11 euro, even for Tim Burton, don't you think is a little bit too much?



Sunday, June 17, 2012

World Press Photo 2012 in Paris

Fino al 21 giugno, presso la Galerie Azzedine Alaïa, nel 3ème arrondissement di Parigi, avrete l'occasione di assistere alla selezione delle più belle immagini del fotogiornalismo internazionale 2011, scelte e premiate dal concorso indetto dalla Fondazione World Press Photo. Creata nel 1955 e con sede ad Amsterdam, questa Fondazione si preoccupa di promuovere il fotogiornalismo, quale occhio puntato sull'attualità del mondo, e uno dei mezzi a disposizione è proprio il concorso in oggetto.
Quest'anno la palma d'oro è stata vinta dallo spagnolo Samuel Aranda per The New York Times. Aggiungiamo meritatamente. La foto ritrae una madre completamente in nero, il volto nascosto e rivolto amorevolmete verso suo figlio, che sorregge tra le sue braccia, mentre lo consola dopo aver ricevuto pesanti ferite durante una manifestazione anti-autoritaria a Sanaa, in Yemen, il 15 ottobre 2011. La foto è uno scatto che blocca il tempo di una guerra in un gesto d'amore. Lo strazio del figlio, il dolore che si intravede dalla bocca aperta in un ghigno di sofferenza e l'abbraccio materno ci ricordano la Pietà di Michelangelo. Lì la Vergine esponeva il corpo, qui la madre lo trattiene, lo protegge, in un atto privato e riservato che la foto trasforma in pubblico. Ma i volti sono invisibili e questa impossibilità di vederli rende ancora più essenziale la lettura dell'immagine perchè lo spettatore trattiene solamente il nucleo centrale dello scatto: un atto d'amore materno, da madre a figlio.      

© Samuel Aranda pour The New York Times - World Press Photo de l’année 2011
Fatima al-Qaws console son fils Saïd (18 ans), blessé
lors d’une manifestation à Sanaa, au Yémen, le 15 octobre.

EXPOSITION
Photographies et journalisme
les images primées en 2012
du 1er au 21 juin
Galerie Azzedine Alaïa
18 rue de la Verrerie - 75004 Paris
Entrée libre
tous les jours de 11h à 19h