Terrence Malick non gira dei film, ma dei capolavori di poesia.
Il suo ultimo sforzo come regista " A la merveille " (To the wonder) segue nel solco già tracciato da " The tree of life ", palma d'oro due anni fa a Cannes. Riduce il tema al centro dell'opera all'essenziale, in questo caso la storia della relazione tra due protagonisti, costretti a dividersi e riunirsi tra Parigi e uno sperduto paesino degli Stati Uniti. Lateralmente, la figura di un prete (Javier Bardem), alle prese con una specie di crisi di coscienza nell'atto di seguire la sua missione pastorale nello stesso paesino sperduto. Il motivo del film è tutto qui, con un occhio sempre vigile su un certo ambiente in preda ai veleni delle multinazionali con le inevitabili ricadute suoi suoi abitanti.
L'uso delle immagini esaltate all'ennesima potenza, dialoghi ridotti, personaggi come comparse (Ben Affleck dice al massimo 10 parole) rende il film talmente riconoscibile agli occhi dello spettatore, già abituato alle estenuanti maratone di Malick, che ci si sente a casa, confortati in un mondo di un estetismo estremo. Se non fosse che la presenza del male è li, incede negli interstizi della vita qauotidiana, la si ritova al lavoro e nella vita coniugale, nella mancanza di comprensione tra due esseri incapaci di amarsi o nella condizione di chi vive ai margini della società e cerca disperatamente risposte in un Dio inaccessibile.
Un film non per tutti, insomma,o per lo meno difficile da digerire, per chi è abituato all'azione dei blockbuster americani.