"Amour" by Michael Haneke |
L'acqua rimane aperta perché lui ha dimenticato di chiuderla. E lo ha fatto nell'incombenza di dare soccorso a sua moglie incapace di rispondere ai suoi richiami. Poi lei ritorna in sé e chiude il rubinetto dell'acqua, rimproverando il marito per la dimenticanza. Con questa scena madre, lo spettatore assiste all'inizio della fine, con un gioco tra fuori campo e immagine che rende meglio delle mie parole il senso tragico di un futuro imminente. Il resto di questo "Amour", vincitore a Cannes della Palma d'oro, è una lenta, lentissima discesa agli Inferi da parte dei due protagonisti, Anne e George, costretti ad affrontare la malattia degenerativa di lei fino alla fine.
Tutte le possibili domande relative al dolore e all'assistenza verso la morte da parte delle persone a noi care sono poste dal film, che non mi sembra voglia dare suggerimento alcuno. Haneke si limita a mostrare con una freddezza chirurgica il lento evolversi degli avvenimenti, senza patetismi, nella loro reale drammaticità. Resta però il conforto del loro amore, l'unico vero bene che rimane ancora presente e vivo dopo una vita trascorsa insieme.
La casa dove i due hanno vissuto per anni diventa per due ore lo scenario forzato del film. La musica (Anne è un'insegnate di piano) ne è il giusto supporto, ma senza essere solo un orpello decorativo. Jean-Louis Trintignat e Emmanuelle Riva sono assolutamente superbi nell'interpretazione dei due personaggi, come del resto lo è Isabelle Huppert nella parte della figlia dei due.
Il film dell'anno, da guardare con una dose di coraggio, anche per gli stomaci più delicati.